» La soffitta di InchiostrodiVerso

Bittersweet

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  1. MournfulCreatureOfTheDark
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    -Cosa ci facciamo in questo posto?- Sara si fermò tra le erbacce, notando la macchia scura che ricopriva le sue Converse blu -sembra una di quelle case stregate che si vedono nei film... Potremmo proporla per il prossimo set di "American Horror Story", credo sia abbastanza inquietante per diventare un manicomio- l'unica risposta che ottenne fu quella del vento, che continuava a sibilare; il cielo, dal canto suo, minacciava pioggia, con le scure nubi che andavano addensandosi sopra le loro teste. Sara sentì un sospiro e, voltandosi, vide che le venivano porte due vecchie chiavi, macchiate di ruggine. -No, non dirmi che...-
    -Una volta vivevo qui- l'interruppe una voce tremante per la commozione. Sara aprì il pesante cancello in ferro, finemente lavorato, come quelli che, fino ad allora, aveva visto solo in televisione; sfiorò con le dita la trama, che tanto le ricordava una ragnatela, e fissò ancora una volta il corvo che lo sovrastava, intento a osservare chiunque passasse sotto il ramo di ferro dov'era appollaiato da chissà quanto tempo. Una veloce sbirciata oltre il muro in mattoni confermò i suoi timori: non era solo il vialetto esterno, ma tutta la casa a essere in stato di totale abbandono. Tornò sui suoi passi, stringendosi nella felpa per cercare un po' di calore; sbloccò il freno della sedia a rotelle e spinse la carrozzina fin oltre il cancello, cercando di farsi strada tra la vegetazione che, incolta, aveva invaso ogni cosa. Doveva essere stato bello vivere lì, in quella grande casa, quand'era all'apice del suo splendore.
    -Ormai qui non sono rimasti che arbusti secchi, erbacce e fantasmi... Questa casa sta morendo, Sara, proprio come il suo giardino. Ha perso il suo fascino, la sua maestosità, il suo splendore, eppure un tempo era magnifica; dovrei farti vedere le foto di quegli anni, sai? Ah, quanti ricordi...- Laura chinò la testa, scuotendola mestamente; come aveva potuto lasciare che accadesse?
    Sara non disse nulla, continuando a guardare a tratti Laura, a tratti il loro taciturno accompagnatore; sapeva di dover stare attenta a dove passava, per evitare di uscire da quello che una volta era il viale in ghiaia e finire nel fango, ma non poté fare a meno di immaginare come potesse apparire la casa un tempo. Niente aria spettrale, niente incuria, solo un magnifico giardino; i roseti carichi di boccioli, gli alberi, forse ciliegi, in fiore, gli aceri forti e vigorosi, l'erba di un verde brillante, l'edera che si arrampicava con ordine sui mattoni.
    -Attenta, Sara-
    Si spostò un po' più a destra per schivare una piccola pozzanghera; guardò i roseti alti, secchi, gli alberi spogli e tetri, l'erba giallognola, l'edera che, indomita, si era espansa, e la tristezza le penetrò nelle ossa, forse più del vento tagliente che, finalmente, aveva deciso di tacere. Giunta alla porta lottò con la serratura, irrigidita dal tempo e dalle intemperie, finché non riuscì ad aprire il portone, lasciando uscire un forte odore di chiuso, muffa e sporco. Varcarono tutti e tre insieme la soglia, entrando in quella che, almeno così credeva Sara, sarebbe potuta essere una reggia: i fini lampadari veneziani, sfumati in ambra, un tempo illuminavano ricche decorazioni dorate, che impreziosivano un enorme atrio dato da anni in pasto alla polvere e al lerciume.
    -Portami nella camera da letto più grande, per favore- chiese Laura a Sara, indicandole la via attraverso ampi corridoi; quando giunsero davanti alla porta le fece segno di allontanarsi. Quello era un viaggio che avrebbe dovuto compiere quasi esclusivamente da sola. Spinse la sedia nella stanza, e mentre attraversava la soglia tornò agli anni passati, dimenticando sporco e ragnatele, ritrovando invece quel calore che tanto le era familiare; non appena sfiorò il letto con la mano i ricordi fluirono in lei, trasportandola in un altro tempo, un altro mondo, lì, con lui.

    -Dovremmo trasformarla questa camera, farne una stanza a misura di bambino- gli occhi di Laura si alzarono al cielo -dai, guarda, sarebbe perfetta- Ben le prese la mano, iniziando a disegnare strane figure nell'aria -al posto dell'armadio potremmo mettere la culla, una bella culla enorme per il nostro bambino che sicuramente sarà un gigante... Il comò lo mettiamo su questa parete, al suo posto piazziamo fasciatoio e un mobile più piccolo, togliamo il letto e ci resta anche il posto per l'armadio... Che ne dici?-
    -Che dovresti arredare case va bene come risposta?- Ben scosse la testa -abbiamo tutto il tempo del mondo per pensare ai mobili, prima bisogna pensare alle cose importanti, come... Il nome del bambino!-
    -Il nome, eh? Io dico... -
    -Sam-
    -Sam?-
    -È che l'ho sempre trovato un nome idiota-
    -Vorresti dare a nostro figlio un nome idiota?!-
    -Ti ricordo che stai parlando con quella che ha rischiato fino all'ultimo di chiamarsi "parto", "spinga" o "cordone"... Cosa vuoi pretendere?-
    -Un nome decente per evitare che quegli orrori diventino realtà... Un nome come Elizabeth, Victoria, Mary, George, Philip...-
    -Qualcosa di meno regale no?-
    -Disse quella che aveva proposto Sam- sorrideva, Ben, gli occhi cerulei carichi di luce
    -Sai che ti dico? Che prima di pensare ai nomi bisogna farlo, un figlio, o almeno essere in dolce attesa... Quindi impegnati, sfaticato!- e lo colpì in pieno volto con una cuscinata che diede inizio all'ennesima battaglia a colpi di cuscino
    -Tregua, tregua!- urlò Ben quando si accorse che il lampadario dondolava pericolosamente; lasciarono i cuscini e si buttarono all'indietro, stendendosi sul materasso ridendo come pazzi.

    Il sorriso era tornato sul suo volto, accentuando le rughe attorno agli occhi e agli angoli della bocca; era sempre meraviglioso rivederlo in gioventù, così frizzante, così allegro, con gli occhi sempre ridenti, pieni di vita e di speranza... Avrebbe voluto tornare indietro, superare i limiti del tempo per poterlo ritrovare com'era quel giorno, ma non poteva far altro che andare avanti; carezzò la testa di Sam, che prese a seguirla in silenzio, fermandosi poco prima della successiva stanza. La loro stanza.

    Era appena passata un'estate torrida, la più calda che fossero in grado di ricordare; era meraviglioso potersi finalmente riabbracciare senza la pelle appiccicosa, madida di sudore, senza essere impegnati a cercare refrigerio muovendo un inutile ventaglio a fiori, senza doversi separare ogni due minuti perché il calore emanato dal corpo umano diventava insopportabile. Era finalmente tornata ad appoggiare il capo sul suo petto, i lunghi capelli biondi di lei che gli coprivano l'addome, il respiro regolare di Ben che intonava la sua ninnananna; gli era mancato quel momento di intimità che tanto adorava, quando, con solo una leggera pressione, riusciva a sentire il battito del cuore di Ben, e s'illudeva che potesse battere all'unisono col suo, perché loro due erano in simbiosi, erano due metà dello stesso essere, erano un disegno divino dolcemente giunto al compimento. Sapeva che non sarebbe mai potuto succedere, ma avrebbe voluto fosse così; erano in una fase della loro giovinezza in cui potevano ancora permettersi certi sogni infantili.
    -Mi è mancato tutto questo- Ben ruppe il silenzio, carezzando dolcemente i capelli di Laura
    -Anche a me, lo sai- gli prese la mano e la strinse, avvolgendola con le sue fredde dita; le era sempre piaciuto il tocco caldo di lui, le dava un'idea di protezione. Il calore di Ben le avrebbe sempre offerto riparo, non importava quando imponente fosse la tempesta che si sarebbe abbattuta su di lei; quel calore era tutto ciò di cui aveva bisogno.

    Faceva freddo lì, un freddo che penetrava nelle ossa e che faceva rabbrividire, faceva freddo perché il suo cuore sembrava aver smesso di battere al ricordo di quanto accogliente e ricolma d'amore fosse stata quella camera; non c'era più traccia di quell'amore nella stanza, i muri erano macchiati di umidità, strani insetti la popolavano, la polvere aveva coperto ogni cosa, eppure l'amore per Ben avrebbe sempre vissuto in lei, avrebbe abitato nel suo corpo, avrebbe fortificato il suo spirito. Lanciò un'occhiata fugace alla porta del bagno, posta sulla parete a Nord; non aveva il coraggio di avvicinarsi, non aveva il coraggio di aprirla, non voleva sapere cos'era rimasto di quella decina di metri quadri che avevano silenziosamente osservato gran parte di quelli che sarebbero diventati i suoi ricordi più cari. Pur sapendo che non era possibile sperava che la vasca da bagno, smaltata di bianco e coi piedi in oro, che da anni veniva considerata solo un "pacchiano oggetto d'antiquariato", fosse ancora splendida e intatta, così simile ai vecchi tempi, una sorta di oasi per la sua mente, così come aveva sperato di ritrovare la casa com'era nei ricordi che gelosamente custodiva, e invece aveva dovuto accettare lo scorrere del tempo; per sua fortuna, l'amara verità era nascosta dietro una porta che lei non aveva intenzione di aprire.

    Non sapeva quale fosse la sensazione predominante in lei in quel momento: rabbia, amore, umiliazione, dolore andavano mischiandosi in lei, immersa nella lussuosa vasca da bagno che tanto le ricordava le regge dei più importanti sovrani europei.
    -Non prendertela con te stessa, Laura, sono cose che capitano: le pareti venose si induriscono e non riesci più a stendere il braccio, è colpa dell'inesorabile scorrere del tempo, non tua- Intrise la spugna d'acqua calda e bagnoschiuma, iniziando poi a lavare la schiena di Laura -so che il tuo spirito indipendente stenta ad accettare la cosa, ma più passa il tempo più è probabile che ci capiti qualche acciacco- le sfiorò la cicatrice, stando attento a non toccarla: sapeva che le causava ancora molti fastidi -ma abbiamo una grande fortuna, Laura: non dovremo affrontarli da soli- le baciò il capo, senza pretendere una risposta alle sue affermazioni: sapeva che, in certi casi, Laura aveva solo bisogno di pensare a come andavano le cose, al futuro che li attendeva, sapeva che aveva bisogno di un po' di tempo prima di raccontargli tutti i pensieri che le affollavano la mente. Non che avessero davvero bisogno di parlare per sapere cosa li turbasse: il tempo passato insieme aveva insegnato loro a capirsi solo con uno sguardo. Ben conosceva le paure di Laura, così come lei conosceva le sue; anche senza che lei glielo confessasse, Ben sapeva che una delle più grandi paure di Laura era affrontare la vita senza di lui e che in quel momento, mentre la malattia s'impossessava di lei, Laura stava pensando che sarebbe bastato un attimo affinché il suo incubo si avverasse, o che in pochi secondi sarebbe potuta essere lei a lasciarlo solo, abbandonandolo in quell'immensa casa infestata da dolci ricordi ed enormi rimpianti, quella casa che avrebbe sempre portato in sé il suo profumo, l'eco della sua risata, il sapore dei suoi baci, il colore dei suoi sogni, il lieve peso dell'essere completamente dipendenti l'una dall'altro che si sarebbe trasformato in un macigno impossibile da sostenere soli, completamente soli, perché la persona che si amava, che fino a un secondo prima era pronta a sopportare la metà del fardello, era svanita, tornata polvere in pochi istanti, come se una vita d'amore e devozione reciproca non avesse significato niente. Ben dipendeva da Laura tanto quanto Laura dipendeva da lui; si erano rubati cuore e anima a vicenda, avevano condiviso sogni, speranze e letto, si erano fatti forza nei momenti bui, e più il tempo passava più diventavano consapevoli del fatto che perdersi avrebbe portato nelle loro vite il vuoto, un incolmabile vuoto che avrebbe aperto la strada ad anni di dolore.
    -La malattia mi fa pensare alla morte, la morte al fatto che dovremo lasciarci, e allora mi sento sprofondare, il mio cuore smette di battere per un attimo, mi sento totalmente annichilita, Ben- gli passò una mano bagnata sul viso, cercando di imprimere ogni sensazione nella sua mente
    -Io sarò qui per te, Laura, il più a lungo possibile, non ti lascerò mai senza lottare contro il tempo, la malattia, contro qualunque cosa cercherà di separarci e lo sai, perché l'ho sempre fatto e lo farò ancora, finché avrò fiato, finché ne avrò le forze, e quando ci separeremo non dovremo fare altro che aspettare di ritrovarci in un altro mondo- le parole di Ben le strinsero il cuore, dandole un nuovo impulso vitale, ma lo sguardo nei loro occhi diceva tutt'altro, incapace di tacere le paure inespresse.

    Le sue lacrime continuavano a macchiare il marmo, facendosi spazio tra la polvere, disegnando piccoli cerchi asimmetrici vicino alla sedia, mentre il respiro iniziava a mancarle; rialzò il capo dalle ginocchia, mettendosi seduta, cercando di ricomporsi prima di tornare da Sam e da Sara. Respirò a fondo, asciugò le lacrime con un vecchio fazzoletto ricamato, tornò nel largo corridoio e iniziò a chiamare sua nipote, cercando qua e là altri fantasmi da rievocare; si incontrarono nel salone principale, dove la attendevano i cadaveri di dozzine di rose.
    -Metteva sempre in un vaso le sue rose, le metteva lì, sopra il tavolo, ed erano la cosa che amavo di più di questa stanza- la malinconia si impossessò nuovamente di lei, riportandola ai giorni in cui aveva vissuto lì dopo la scomparsa di Ben. Era morto in ospedale, ma in casa erano rimasti mazzi di fiori e biglietti di condoglianze, scheletri della veglia funebre, e il silenzio, che si era fatto sempre più imponente, fino a diventare l'unico vero padrone di casa appena l'ultimo ospite vestito a lutto aveva varcato la soglia. Si era seduta su una sedia e si era chiesta cosa avrebbe dovuto fare; si era poi persa nei suoi sogni, attendendo il momento il cui Ben, il suo Ben, avrebbe di nuovo fatto il suo ingresso nella stanza, spensierato e vitale com'era stato un tempo, prima che la malattia spegnesse il suo spirito e ingrigisse il suo corpo, prima che la morte lo strappasse dalle sue amorevoli braccia. E poi tornava alla realtà, vi affogava, si sentiva sperduta, l'ennesimo spettro di quella casa infestata, era prigioniera di quella casa, dei ricordi di loro due, sapendo di non avere alcuna via di uscita dal suo incubo peggiore; e allora sognava ancora, sognava per sfuggire alle sue paure, e sentiva nel vento la voce di Ben, uno straziante sussurro che chiamava il suo nome, riviveva la loro storia passando di stanza in stanza, toccando le pareti, quasi a voler imprimere lì i loro momenti felici tanto era il timore di perderli, e rimaneva bloccata nel passato, incapace di andare avanti. Sapeva che sarebbe stata dura, sapeva che non avrebbe mai potuto dimenticare quell'amore che, un giorno, lui aveva deciso di donarle, e che da allora non aveva mai smesso di regalarle, con ogni parola, con ogni gesto, sapeva che l'unica cosa che le rimaneva da fare era aspettare, aspettare di incontrarlo ancora, rivederlo, riabbracciarlo in un luogo in cui avrebbero potuto stare insieme per sempre; ma le stagioni avevano continuato ad alternarsi, incuranti del suo dolore, e in lei si era fatta sempre più viva l'angoscia, la paura per l'unica cosa che non avevano mai avuto il coraggio di confessarsi, e così una parte di lei aveva continuato a morire, giorno dopo giorno. Continuava a sperare che un giorno potessero amarsi ancora, eppure temeva che, come tutti e due avevano pensato più e più volte, oltre la morte non ci fosse che il vuoto, il nulla, la fine di ogni loro speranza; aveva iniziato a essere due persone, una speranzosa e una nichilista, e aveva capito di non poter più rimanere in quella casa, dove tutto le parlava di lui. Un giorno, forse, la morte le avrebbe restituito quello che aveva perso con la dipartita di Ben, ma fino ad allora avrebbe dovuto separarsi da quella casa e dai suoi spettri, trovare un po' di pace per poter vivere quei pochi anni che le rimanevano; eppure continuava ad aver bisogno di tornare lì, a riascoltare le storie che la casa le raccontava, a cullarsi per qualche ora in quel meraviglioso edificio che le procurava ogni volta un dolore più grande. Ma Laura ormai sapeva che ogni dolore potava con sé una grande, dolce consolazione: ogni ricordo che le dilaniava il corpo con la sua vivida semplicità la avvicinava sempre di più al luogo al quale veramente apparteneva, ogni attimo di dolore era un piccolo passo verso il luogo dove Ben riposava da tempo. Era lì che doveva stare, era lì che voleva andare; sapeva che non era poi così distante dal riunirsi a Ben, e questo donava alla sua anima qualche attimo di pace, che sarebbe divenuta eterna col loro ricongiungimento. Un sorriso le illuminò il volto: era quello che le accadeva sempre quando, sperando che Ben la sentisse, si diceva che ormai la morte non era più così lontana.

    Edited by MournfulCreatureOfTheDark - 16/11/2012, 08:46
     
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    Elfo

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    Bella l'atmosfera (un po' horror che non guasta mai). Romanticismo atipico, ma molto apprezzato da parte mia.
     
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    Al contrario di Erendal, io non ho apprezzato molto questa atmosfera un po' horror, ma nel complesso il racconto non mi è dispiaciuto.
     
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    Irene

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    Bello il finale! ^^
     
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    Letta d'un fiato e, essendo io incline alle atmosfere horror e al tema della morte, come potevo non apprezzare? :)
     
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    a me è piaciuta la descrizione dei luoghi, mentre ho trovato leggermente appesantita la caratterizzazione dei personaggi..

    Comunque un giudizio positivo. Piaciuto.
     
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  7. MournfulCreatureOfTheDark
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    Grazie a tutti per i complimenti^^
     
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    L'ambietazione un po' gotica mi è piaciuta. E' un racconto ben scritto. Complimenti.
     
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